Antropologia/ Persone, etnie, classi e caste
Persone, etnie, classi e caste
La questione dell’identità
Gli esseri umani organizzano concettualmente il mondo che li circonda, però con il termine “mondo” non si può intendere soltanto la natura ma il mondo delle relazioni umane. Da sempre ogni essere umano cerca di comprendere tanto la dimensione del Sé quanto quella dell’Altro. Sé e Altro sono due espressioni che vengono usate in riferimento sia a soggetti individuali sia a soggetti collettivi (primo caso: Io/Tu – Lui – Lei e nel secondo caso: Noi/Voi-Loro). Queste distinzioni riguardano il modo in cui individui e gruppi hanno concepito, in maniera molto generale, la propria relazione con l’identità e l’alterità. Prenderemo dunque in considerazione il tema dell’identità e dell’alterità in generale.
L’idea di appartenere a un Sé collettivo e quella di essere ciò che siamo come individui rinviano entrambe alla nozione di identità. Sapere di far parte di una comunità, ciò che sentiamo, pensiamo, desideriamo, speriamo ecc. sono le certezze più importanti a cui ci possiamo aggrappare. Essere esclusi da un gruppo al quale pensavamo di appartenere può far vacillare la nostra identità, o al contrario, rinforzarla di fronte a qualcosa che è percepito come un pericolo.
Il corpo
Il nostro corpo reagisce di fronte agli stimoli esterni quai sempre in base a modelli che abbiamo imparati dalla cultura nella quale siamo cresciuti. Pierre Bourdieu ha chiamato questa conoscenza “incorporata” habitus. Il nostro habitus varia tanto sulla base delle nostre particolari caratteristiche psicofisiche quanto a seconda dei modelli di comportamento e delle rappresentazioni che noi assimiliamo.
Anche le emozioni e i sentimenti sono “incanalati”, cioè “incorporati”. Questo modo di “essere nel mondo”, attraverso il corpo, è culturalmente orientato es è stato fatto oggetto di speciali attenzioni sin dall’antichità. Il nostro corpo è “culturalmente disciplinato”, come ha sottolineato il filosofo Michel Foucault in un suo studio sui meccanismi di controllo e di repressione nell’Europa dell’età moderna.
Il corpo degli esseri umani è “culturalmente disciplinato” e le tecniche che sono preposte all’attuazione di tale dipendono a loro volta dai modelli culturali in vigore. La società cerca di imprimere nel corpo degli individui i “segni” della propria presenza. Gli individui sono esseri sociali.
Tatuaggi, pitture, perforazioni, avulsioni di denti ecc. sembrano essere tutte pratiche finalizzate a ciò che alcuni antropologi hanno chiamato “fabbricazione dell’uomo” da parte della società. In Occidente queste pratiche si sono attenuate a partire dall’età moderna.
Il corpo è da una parte la materia sulla quale la società cerca di imporre una determinata “marca d’identità” e dal punto di vista dell’individuo è anche “un luogo di messa in scena del Sé”, come ha definito David Le Breton.
Ci sono popoli presso i quali mostrarsi nudi o seminudi è ritenuto normale, tanto per gli uomini che per le donne. Per tanti popoli era il caso prima della colonizzazione e oggi è ancora il caso di molte società amazzoniche e dell’Africa subsahariana. Altre culture, pur controllando in maniera rigida le donne sul piano del comportamento sessuale, consentono l’esposizione di parte del corpo femminile che altre culture ritengono troppo provocanti o addirittura “indecenti”. Inoltre, il punto rosso disegnato al centro della fronte di alcune donne segnala che esse sono in età fertile.
Per contro, vi sono popoli presso i quali il corpo femminile deve rimanere nascosto, si devono nascondere per il più possibile allo sguardo degli individui dell’altro sesso e degli estranei. Per questo alcune culture hanno costruito delle vere e proprie “barriere visive”. Il caso più estremo è dato dalla burqa afghana, che noi siamo abituati a chiamare il burqa, al maschile. La burqa ha una lunga storia per lo più sconosciuta in Occidente e, almeno all’origine, non ha nulla di veramente islamico.
In Occidente è nato anche la moda della tintarella, al punto che l’abbronzatura è diventata una pratica ottenuta spesso con mezzi artificiali. Perché fino agli inizi del Novecento era inconcepibile persino il fatto di spogliarsi per prendere il sole in riva al mare. Però le signore e i gentiluomini non facevano per abbronzarsi. Ombrellini, tende, cappelli, gonnelloni tutto doveva far sì che la pelle rimanesse bianca la più immacolata possibile.
Emozioni e sentimenti come elementi costitutivi del Sé
Le emozioni e la loro espressione sono aspetti importanti nella costruzione del soggetto umano, in relazione sia al mondo interiore si al mondo esteriore. Nella vita interiore di una persona non sempre è facile distinguere tra sentimenti, emozioni e sensazioni.
Gli antropologi sono d’accordo che gli stati d’animo non sono universali, o meglio, non sono espressi ovunque nella stessa maniera. Gli emozioni in generale sono sempre modulate in relazione a una serie complessa di fattori: età, genere, posizione sociale, contesto pubblico o privato, concezioni locali della mente e del corpo, nonché le disposizioni individuali che sono alla base di ciò che noi chiamiamo il “carattere di una persona”. I cinesi per esempio sono abituati sin dall’infanzia a mascherare le loro emozioni.
Gli Ifaluk sono un piccolo popolo di un’isola della Micronesia e loro possiedono due nozioni: metagu e song. Il primo termine sta per “paura, il secondo per “collera giustificata”. Questi due termini sono nozioni complementari. Song è quella di un genitore o di un capo verso il trasgressore della norma. Metagu è la risposta appropriata a song. Il bambino ifaluk impara a introiettare il metagu prima possibile, così da poterlo esprimere corettamente e non subire il song di un genitore o di un capo.
L’espressione del sentimento d’amore tra i beduini egiziani trova un canale privilegiato nella poesia orale. Si pensa che la poesia sia l’unico mezzo con cui tale sentimento può essere espresso in una società in cui l’affetto e l’attrazione sessuale fra una donna e un uomo sono considerati distruttivi per l’ordine sociale, fondato sulla solidarietà tra individui consanguinei e sul rispetto dell’autorità dei più anziani.
Gli Ilongot possiedono una nozione che serve a esprimere uno stato d’animo che cambia la rabbia, la passione e il dolore: liget. Esso si manifesta quando una persona cara muore inducendo un uomo a desiderare di uccidere un nemico e tagliargli la testa. Liget è la passione. Gli Ilongot con considerano il liget uno stato auspicabile del loro cuore, tutt’altro. Essi lo giudicano un “cattivo sentimento”, opposto alla ponderatezza e alla “conoscenza”, oltre che a una serie di altri stati positivi connessi con la tranquillità del cuore. La “conoscenza” viene definito come beya e liget e beya sembrano che costituiscono i poli concettuali entro i quali gli Ilongot sviluppano le loro visioni e i loro giudizi relativi alla vita interpersonale ed emotiva, tanto individuale quanto collettiva.
In generale, gli studi delle emozioni si sono adoperati a tradurre quelle parole che, in determinati contesti sociali, vengono usate per esprimere particolari stati d’animo. Il problema però non è soltanto terminologico, ma si lega a modelli culturali e di comportamento anche molto lontani dai nostri.
La “persona”
La persona è un insieme delle caratteristiche che distinguono un essere umano da altri esseri viventi o inanimanti e che varia a seconda delle culture. Per questo tutte le culture distinguono l’essere umano da altri esseri viventi. Tuttavia le concezioni di come l’essere umano sia costituito, tanto dal punto di vista fisico quanto da quello spirituale, cambiano di volta in volta.
In Occidente vi sono anche modi diversi di considerare i criteri che definiscono una persona e ciò che essa è. Qui l’idea di persona si è sviluppata su basi di tipo giuridico e morale. Una persona ha dei diritti e dei doveri precisi, ha una propria dignità, una reputazione, un onore ecc.
Una “persona” è una creazione sociale, frutto di determinate concezioni e dei valori che una certa cultura ha elaborata attorno all’individuo. In effetti, le nozioni di individuo e di persona non dovrebbero essere usate come intercambiabili. La nozione di persona rinvia al modo in cui l’individuo entra in relazione con il mondo sociale di cui fa parte. Marcel Mauss sottolinea come l’idea dell’individuo in quanto soggetto svincolato dal contesto sociale e culturale fosse solo un’elaborazione astratta prodotta dal pensiero occidentale, e come invece nella maggior parte delle altre culture il legame di dipendenza dell’individuo dalla propria società fosse esplicitamente riconosciuto.
La nozione di “persona” ha costituito un importante banco di prova per quegli studiosi che si sono impegnati nello studio delle cosmologie e dei sistemi di pensiero “primitivi”.
Sesso e genere
Importante nella determinazione dell’identità individuale sono le definizioni del sesso e del genere. Il sesso è l’identità che deriva dalle caratteristiche naturali, anatomiche, di un individuo: femmina / maschio. Il genere è invece un modo di concepire “culturalmente” la differenza sessuale. Margaret Mead intraprese delle ricerche allo scopo di accertare l’influenza della cultura sulla natura maschile e su quella femminile. Mead mostrò come presso i popoli da lei studiati i tratti del carattere maschile e femminile fossero determinati più dall’educazione e dai modelli appresi che da una predisposizione naturale.
Altri antropologi hanno affrontato in seguito lo studio delle differenze di genere dal punto di vista dell’espressione emotiva, giungendo alla conclusione che siamo spesso di fronte a costituzioni di tipo sociale. Distinguere tra sesso e genere è fondamentale. Nelle nostre società i ragazzi e le ragazze ricevono, come in quasi tutte le società, una differente educazione “di genere”. Alle ragazze e ai ragazzi si insegna a comportarsi diversamente in base a una certa idea di come ragazze e ragazzi dovrebbero comportarsi rispettivamente. Però sappiamo bene quanto l’educazione e il comportamento di genere siano cambiati, anche nelle nostre società, nel corso dell’ultimo secolo.
Identità e alterità collettive
La distinzione noi / altri, segna in certe società in qualche modo il confine tra un “interno” e un “esterno” alla società stessa. I termini “etnia” ed “etnicità” sono molto usati nel linguaggio dei media e della politica. Gli antropologi hanno impiegato il termine “etnia” per indicare un gruppo umano identificabile con una cultura, una lingua e un territorio. Però alcuni antropologi lo hanno fortemente criticato perché l’equazione “cultura = lingua = territorio” sembra accettare l’idea che dietro a ogni etnia ci sia un’origine comune, e che quest’ultima assegni all’etnia un fondamento naturale, riducendola a una comunità di sangue e di stirpe, quando non addirittura a una “razza”. Infatti questo modo di intendere l’etnia corrisponde a un sentimento identitario che dà per scontato il carattere statico del gruppo in riferimento al quale cultura, lingua, tradizione, storia vengono pensate.
Il linguaggio dei media e quello della politica abbondano oggi di espressioni che rafforzano queste idee di assolutezza, staticità ed eternità delle etnie. Tutti i gruppi umani, le loro culture e le loro lingue sono il frutto di un più o meno lento processo di interazioni con altri gruppi. L’etnicità potrebbe anche essere considerata una manifestazione di ciò che alcuni antropologi hanno definito la sfera dei “sentimenti primordiali”. Con l’espressione “sentimenti primordiali” si vuol dire che gli esseri umani devono necessariamente trovare delle ragioni ultime per sentirsi individui dotati di una stabile identità. Lo scopo dello scontro etnico è l’eliminazione dell’altro, il suo annullamento fisico oltre che psicologo.
L’etnicità deve essere letta come il prodotto di un’interazione tra gruppi con interessi diversi spesso messi in circolazione da agenzie esterne, laddove le istituzioni politiche e il loro linguaggio non si sono sviluppate o sono collassate, e non come il risultato di una tendenza al separatismo in quanto tale.
La nozione di classe sociale è strettamente legata alla tradizione della filosofia e dell’economia politica europee, e in modo particolare alle analisi della società nata sulla spinta della Rivoluzione industriale. Karl Marx riteneva che la storia della società fosse caratterizzata da ciò che egli chiamò “lotta di classe”. Con questa espressione intendeva dire che la storia è mossa da un continuo confronto tra gruppi sociali con interessi diversi e quasi sempre in opposizione.
L’analisi di Marx aveva al centro il concetto di “modo di produzione”, che ha avuto una certa rilevanza nel guidare le analisi antropologiche sui sistemi sociali ed economici extraeuropei. Nella visione della dinamica sociale tipica di Marx, un ruolo fondamentale spettava a ciò che egli chiamava “coscienza di classe”. Oggi le classi sociali esistono all’interno di sistemi economici e politici democratici in cui è assicurata a tutti la possibilità di ascendere socialmente, e in cui diritti e doveri sono equamente distribuiti.
La divisione della popolazione in classi ha naturalmente a che vedere con la divisione del lavoro, ma non coincide con quest’ultima. Ma quando parliamo di classi dobbiamo considerare anche le caste. La parola casta viene oggi utilizzata in maniera fluida e generica in riferimento a gruppi sociali ritenuti, per una qualche ragione, superiori o inferiori ad altri e che, per questa loro caratteristica, tendono a condurre una vita separata da quest’ultimi. Nella lingua portoghese “casta” significa “casata”, “stirpe”. Benché ufficialmente abolita nel 1947 la divisione in caste ha ancora oggi un notevole peso.
L’antropologo francese Claude Lèvi-Strauss ritiene che le caste siano un tipico esempio delle tendenze classificatrici della mente umana. La suddivisione della società in caste presenta, a suo parere, straordinarie analogie formali con altri tipi di classificazione della realtà sociale, tra cui il totemismo.
a) Il sistema totemico opera una distinzione tra i gruppi servendosi delle diversità esistenti tra le specie naturali. Il sistema delle caste distingue invece gli esseri umani in base alla loro occupazione a un elemento culturale: prima trasformazione.
b) Per il totemismo australiano le differenze tra specie sono assimilate a quelle tra gruppi sociali. Per il sistema delle caste, invece, le differenze tra gruppi occupazionali vengono assimilate a differenze naturali: seconda trasformazione.
c) Avviene in tal mondo che il totemismo “pensa” la natura attraverso la cultura mentre, al contrario, il sistema delle caste pensa la cultura attraverso la natura: terza trasformazione.
La conclusione di Lèvi-Strauss è che il totemismo e caste sono espressioni di un “modo di funzionare” della mente umana che è delineabile anche dietro strutture sociali tradizionalmente definite come diametralmente opposte, quali appunto il totemismo e il regime delle caste indù.
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